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Scompenso cardiaco: trovata cura miracolosa, sembra ridurre la mortalità

Pare che finalmente sia stata trovata una cura per lo scompenso cardiaco. La stessa attenuerebbe, quantomeno, il problema, così da ridurne la mortalità. 

Si tratta di un farmaco contro il diabete, già esistente, ma che per le sue proprietà riconosciute può essere prescritto altresì dai cardiologi. Come il Dott. Pasquale Perrone Filardi, presidente della SIC, Società Italiana di Cardiologia, ha dichiarato, è stato superato un vero paradosso.

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Quello secondo cui, se il paziente non diabetico soffriva di scompenso cardiaco, avrebbe dovuto rivolgersi al diabetologo anziché al cardiologo e pagare anche il farmaco. Le glifozine (SLGT2), venute alla luce come anti-diabetici, sono la più grande innovazione applicativa altresì per lo scompenso cardiaco.

Il suo utilizzo, laddove richiesto, anche come farmaco esclusivo per lo scompenso cardiaco, a prescindere se il paziente sia diabetico o meno, era già stato inteso come nuova approvazione terapeutica lo scorso anno dall’EMA, l’Agenzia Europea del Farmaco.

Nuova approvazione come terapia non recepita, almeno fino a questo momento, dall’Italia. Ma scopriamo maggiori dettagli in merito alla situazione attuale, e di cosa essa comporta.

La cura dello scompenso cardiaco oggi

Come lo stesso Presidente Filardi ha fatto notare, l’applicazione del farmaco Dapaglifozin, primo della classe fra le glifozine, in modo tale che possa essere prescritto dal cardiologo, e del tutto rimborsabile, è una buona notizia per circa un milione di cittadini che in Italia soffrono dello scompenso in questione.

Si tratta del primo farmaco ad essere stato approvato nel nostro Paese per curare lo scompenso in pazienti con o senza diabete di tipo 2. Anche questo punto ribadito da Filardi. Ed è in effetti un’innovazione non di poco conto, poiché, sempre per come fatto notare dal Presidente della SIC, il paziente affetto da scompenso cardiaco ma non da diabete avvrebbe visto una lunga trafila dinanzi a sé.

Il che consisteva non solamente nel dover pagare il farmaco, ma nel vederselo prescritto da un altro specialista, nel momento in cui la terapia doveva essere stabilita in modo “sartoriale” in relazione alla condizione del paziente. Dunque si doveva partire pur sempre dalle considerazioni di base del cardiologo, ma con un processo più indiretto e pertanto più lungo e complesso sul piano decisionale.