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Nuovo studio su Omicron: ‘Rischio di ricovero e morte più basso di Delta’

Alcuni studi preliminari nel corso delle ultime settimane hanno avuto l’obiettivo di analizzare la variante Omicron del coronavirus, per esaminare a quanto corrisponda il rischio di ricovero e di morte di questa mutazione del virus. Adesso arriva una nuova ricerca, svolta dall’University of California di Berkeley, i cui risultati sono stati pubblicati in pre print su medRxiv.

Le analisi della nuova ricerca

Secondo la nuova ricerca, Omicron determinerebbe un rischio minore rispetto alla variante Delta per quanto riguarda i ricoveri e i decessi, oltre che per ciò che concerne i ricoveri in terapia intensiva. Il gruppo di lavoro che ha contribuito a mettere a punto lo studio ha svolto una ricerca che si differenzia da altri studi anche per le modalità di realizzazione.

Gli esperti hanno infatti messo a confronto due gruppi di pazienti che in America si sono ammalati rispettivamente con la variante Delta e con la Omicron. Gli altri studi sull’argomento avevano invece analizzato come si sviluppava l’infezione tenendo conto delle varie ondate dell’epidemia.

Sono stati analizzati in particolare i dati di 52.297 persone con Omicron e di 16.982 con Delta. Secondo quanto hanno riscontrato gli studiosi, nessuno dei pazienti con variante Omicron ha dovuto ricorrere alla ventilazione meccanica, invece degli 11 che si sono ammalati con la variante Delta.

È stato visto inoltre che il ricorso alla terapia intensiva è stato necessario per 7 pazienti con Omicron rispetto ai 23 con Delta. Per quanto riguarda i decessi, si è registrato un morto con la variante Omicron e 14 sono state le persone morte con la variante Delta. In merito ai tempi di ricovero, con Omicron si è registrata una diminuzione di 3,4 giorni.

Differenze tra vaccinati e non vaccinati?

Secondo quanto spiegano gli studiosi, queste riduzioni sono state riscontrate sia tra coloro che avevano ricevuto il vaccino sia tra coloro che non erano vaccinati, oltre che tra quelle con o senza un’infezione precedente da Covid 19.

Ricordiamo che lo studio in questione deve essere approvato, dopo l’analisi, dalla comunità scientifica, per poi essere pubblicato in una rivista specializzata.